Non è la divisa che fa l'uomo ma l'uomo che fa la divisa

(Da L'Eco di Bergamo del 16/04) 

Una divisa. Non c’è disciplina sportiva che non ne abbia una. La possiede qualsiasi atleta, di qualsiasi età. Serve per praticare con maggiore comodità la propria attività. Serve per essere facilmente identificabili dai tifosi se si gareggia da soli. Serve per riconoscersi tra compagni se c’è gioco d’insieme. In questi ultimi anni ci siamo abituati anche ad un certo gusto estetico. Non che prima non ci fosse ma in termini di colori, di disegni e di materiali, siamo decisamente migliorati: c’è la divisa per quando si gioca in casa, fuori casa, in allenamento, di rappresentanza ecc. Alla varietà dei colori, si aggiunge il fatto che - a volte - capita di trovarne in giro alcune, dimenticate da qualche atleta per sbadataggine o per chissà quale altro motivo. E l’allenatore, l’accompagnatore, il magazziniere o il genitore di turno, si trova a dover ricomporre la muta perché - si sa - le cose hanno un prezzo e giustamente vanno custodite. Ma non credo sia solo una questione di costi. La divisa è importante per tante altre ragioni. Innanzitutto evoca un’identità: chi la indossa è un atleta a tutti gli effetti. Poi dice un’appartenenza: si fa parte di questa società sportiva e non di un’altra. E infine richiama una storia: la realtà di cui siamo parte esiste da tanti (o pochi) anni.
Ecco perché spiace quando qualcuno dimentica la divisa: non ci sono in gioco solo i soldi spesi per comprarla, c’è molto “di più”. E in genere, i tifosi sono i primi che ricordano ai loro beniamini questo “di più” quando non vedono in campo tutta la grinta necessaria: “Dove è l’attaccamento alla maglia che indossi?”. Questo “di più” è quanto ogni società sportiva e anche il Csi cerca di custodire e di coltivare quotidianamente attraverso il proprio operato. Certo, spesso sembra di vivere tempi in cui all’orizzonte non si profilano scenari particolarmente incoraggianti. Le complicazioni burocratiche aumentano ogni giorno che passa. Le attese di tutti altrettanto: al punto che ciò che fino a ieri sembrava ovvio – gli sport di squadra, i campionati, le partite, gli allenamenti - di fatto lo sono sempre di meno. E chi si trova a servizio delle società sportive spesso si accorge di essere un po’ da solo. E per di più deve anche provare a immaginare qualcosa di nuovo per incrociare effettivamente le necessità di chi oggi desidera praticare ancora attività sportiva. Altro che semplici maglie da tenere insieme…
Che dire? Dalla scorsa domenica, siamo entrati nel vivo della Settimana Santa: giorni in cui celebreremo misteri che dicono il cuore della fede cristiana. Credo che sia in essa che possiamo trovare rinnovati motivi di speranza. Anche Gesù infatti, il protagonista per eccellenza di questo tempo particolare, ci arriva con una “divisa”. È la sua tunica che, dice la tradizione, Maria stessa gli ha appositamente confezionato senza alcuna cucitura, ancor prima che cominciasse la sua missione pubblica. Essendo così particolare, sotto la croce i soldati decideranno di tirarla a sorte per evitare di romperla in tanti pezzi. Ma proprio qui e un poco più avanti sta il bello: la partita più importante della sua vita, Gesù la giocherà senza divisa, nudo. O meglio: vestito semplicemente della sua umanità, della sua corporeità attraverso la quale proverà a mostrare a tutti la sua capacità di amare. E allora l’augurio di Pasqua di tutto il Csi per le società sportive è che questi che stanno per arrivare, possano essere giorni nei quali ci svestiamo delle nostre tante divise e proviamo a smettere di arrabbiarci se tante contingenze ci costringono a rivederle o a lamentarci perché sembra di faticare invano. Possano invece essere giorni nei quali proviamo tutti a riscoprire quell’unica divisa – l’umanità - che Dio ci ha donato nel giorno in cui siamo nati e da lì riuscire a cogliere tutti quei motivi e quei criteri che possono aiutarci nel portare avanti il nostro servizio con rinnovata fedeltà creativa. Auguri.

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